Vedere oltre

Fin dall’inizio delle osservazioni astronomiche nell’antichità, l’uomo cercò un modo per aumentare le capacità di raccolta della luce del nostro occhio. Inizialmente si limitò allo spettro visibile: sembra che già nei primi anni del 1600 circolassero in Olanda i primi cannocchiali, anche se non per uso scientifico-astronomico. Fu solo nel 1609 che Galileo Galilei costruì e perfezionò il primo semplice modello di cannocchiale rifrattore: fu probabilmente il primo a studiarne metodicamente il funzionamento e certamente fu il primo a comprenderne le potenzialità: anche se era solo una lente piano-convessa (convergente) utilizzata come obiettivo e una piano-concava (divergente) come oculare e ingrandiva solo nove volte, gli permise di vedere i satelliti di Giove e i crateri lunari. Da quel momento in poi, l’astronomia conobbe una nuova genesi.

Fig.1: I primi cannocchiali di Galileo (Museo di Storia della Scienza, Firenze) e il loro schema ottico

Purtroppo il grande problema del modello galileiano (e poi kepleriano) dei telescopi erano le lenti stesse, affette, anche a causa di una costruzione ancora approssimativa,  da aberrazioni cromatiche e sferiche. Ci voleva un’altra innovazione: fu proprio Isaac Newton che nel 1668 progettò un nuovo tipo di telescopio che si basava su specchi anziché lenti. Il fascio dello specchio curvo (parabolico) veniva fatto convergere su uno specchietto secondario e poi inviato a un oculare: nasceva il telescopio riflettore.

L’evoluzione tecnica degli strumenti astronomici progredì a passo veloce, sia in ambito ottico sia, a partire dagli anni trenta del 900 in ambito radioastronomico. Fu una scoperta casuale che permise a Karl Guthe Jansky di trovare una radiazione costante con un picco di intensità verso il centro della nostra galassia. Il primo radiotelescopio fu realizzato da Grote Reber nel 1937, un paraboloide di 9,4 metri di diametro che permise al suo creatore di confermare le prime misure di Jansky, creando successivamente una mappa completa della nostra galassia. Solo dagli anni ‘50 in poi la radioastronomia prese piede e iniziò il suo grande sviluppo.

Fig.2: Opacità dell'atmosfera a varie lunghezze d'onda

Vedere oltre però significa innanzitutto superare un grande ostacolo: la nostra atmosfera. Questa è opaca solo ad alcune lunghezze d’onda. Come illustra la figura 2 l’atmosfera è trasparente solo in alcune aree dette “finestre”: la finestra ottica (tra i 300 nm e gli 800 nm) che coincide con la regione di sensibilità dell'occhio umano, la finestra infrarossa (dai 700 nm a 1.3 μm) e la finestra più grande, quella radio, che comprende anche le microonde (da 1 mm a circa 20 m). Per questo motivo l’osservazione da terra è limitata all’uso dei telescopi ottici e dei radiotelescopi. Le rimanenti bande, in particolare l’infrarosso, l’ultravioletto e le bande altamente energetiche come i raggi X e gamma, possono essere osservate quasi esclusivamente tramite telescopi orbitali o collocati su palloni aerostatici ad alta quota.

Telescopi ottici

Il nome telescopio deriva dal greco τηλε (tēle) che significa «lontano» e σκοπεῖν (skopein) ovvero «guardare, vedere», ed è una parola coniata dal matematico greco Giovanni Demisiani (Ἰωάννης Δημησιάνος) nel 1611, in occasione di un incontro per l’elezione di Galileo Galilei nell'Accademia dei Lincei.

Fig.3: Le due principali configurazioni ottiche dei telescopi

Le configurazioni ottiche dei telescopi si possono dividere in due categorie (fig.3). I telescopi rifrattori che, grazie ad un insieme di lenti, sfruttano la rifrazione della luce per focalizzare l'immagine. I telescopi riflettori che, sfruttando il fenomeno della riflessione della luce, la raccolgono tramite l’uso di uno specchio concavo, spesso parabolico (ma non esclusivamente), concentrandola sul fuoco, da cui può essere osservata e analizzata.

Telescopi rifrattori

La rifrazione è un fenomeno ottico che causa la deviazione di un’onda quando questa passa da un mezzo ad un altro con indice di rifrazione differenti, in cui la velocità di propagazione cambia, secondo la legge di Snell:

Fig.4: Rifrazione e riflessione della luce

 

n1 sinθ1 = n2 sinθ2

dove n1 e n2 sono gli indici di rifrazione dei due materiali attraversati, θ1 e θ2 sono rispettivamente gli angoli di incidenza e rifrazione.

Come già accennato, i telescopi rifrattori sono composti da un obiettivo e da un oculare. L'obiettivo è un sistema di lenti che raccoglie la luce proveniente da un oggetto e focalizza i raggi per produrre un’immagine reale. Può essere costituito anche solo da una lente convergente posta fra il primo fuoco e l'infinito. L'oculare è un sistema di lenti racchiuso in un barilotto, che permette di formare un'immagine virtuale dell’oggetto, accessibile quindi all’occhio umano. L'ingrandimento che si può ottenere dipende dal rapporto tra la lunghezza focale dell'obiettivo e la lunghezza focale dell'oculare. Se si divide la lunghezza focale del telescopio per la lunghezza focale dell'oculare si ottiene l'ingrandimento I:

I = f_ob/f_oc

In questo modo il sistema ottico ribalta l’immagine osservata. L’immagine dritta è restituita da una configurazione di tipo Galileiana (vedi fig.1). Il vantaggio dell'oculare di tipo kepleriano però è che l'immagine è concentrata nel fuoco e l'occhio posto nella pupilla d'uscita raccoglie tutta la luce e vede tutto il campo, mentre con l'oculare galileiano è necessario vagare con l'occhio per poter vedere completamente l'immagine.

 

 

 

Fig.5: Schema ottico di telescopio rifrattore Kepleriano
Fig.6: Telescopio rifrattore di Yerkes

Il grande passo successivo dell’evoluzione dei telescopi rifrattori fu l’invenzione della lente acromatica, lente con elementi multipli che risolveva il problema dell’aberrazione cromatica e permetteva lunghezze focali più corte. Un’evoluzione successiva (1886) furono i rifrattori apocromatici (accoppiando almeno 3 vetri diversi), costruiti con materiali speciali con bassissima dispersione (tipicamente vetro Flint, vetro Crown e spesso vetro alla fluorite) cioè  in grado di mettere a fuoco nello stesso punto la luce di tre diverse lunghezze d'onda (blu, verde e rosso). Purtroppo, nonostante questi miglioramenti, le dimensioni delle lenti dei telescopi rifrattori devono essere contenute, altrimenti la lente si deforma sotto il suo stesso peso per il fatto che essa può essere sostenuta solo sui suoi bordi, a differenza di uno specchio che può essere supportato anche sulla parte posteriore. Per questo motivo il più grande rifrattore del mondo ha un diametro di “soli” 102 cm, e si trova all’osservatorio di Yerkes (università di Chicago, 1897).

 

Telescopi riflettori

La riflessione è il fenomeno per cui un'onda, che si propaga lungo l'interfaccia tra differenti mezzi, cambia di direzione a causa di un impatto con un materiale riflettente. La riflessione della luce verifica la legge sperimentale, nota sotto il nome di legge di Snellius-Cartesio, che dice che il raggio incidente, la normale alla superficie riflettente nel punto di incidenza ed il raggio riflesso giacciono sullo stesso piano. Inoltre l'angolo di incidenza θè uguale all'angolo di riflessione (fig.4).

Il primo telescopio riflettore fu progettato e inventato da James Gregory nel 1661 e in seguito sarà chiamato telescopio gregoriano. Venne poi costruito, con alcune modifiche, da Newton nel 1668, anche se la priorità nell'invenzione del telescopio a riflessione spetti a all’astronomo Hooke o a Newton è tutt’oggi oggetto di discussione.

I telescopi a riflessione utilizzano per obiettivo uno specchio concavo (primario) e uno o più specchi di dimensioni minori e di forma opportuna (secondari). Adottando superfici riflettenti, i raggi luminosi non subiscono rifrazioni e le immagini prodotte sono quindi prive di aberrazione cromatica. Inoltre, scegliendo opportunamente la forma delle superfici impiegate, è possibile eliminare le aberrazioni geometriche per fornire così immagini otticamente corrette. I telescopi riflettori si possono distinguere in alcune diverse categorie, in base alla differente configurazione degli specchi:

Newtoniani

La classica configurazione inventata da Isaac Newton nel lontano 1668 prevede la presenza di uno specchio primario parabolico che concentra la luce sul fuoco. Prima di raggiungerlo, i raggi luminosi vengono intercettati da uno specchio piano di forma ellittica inclinato di 45° (specchio secondario) che li riflette verso un foro laterale del tubo, dove viene posto l'oculare. Questo tipo di telescopio ha una limitata capacità di correggere le aberrazioni geometriche fuori asse ed è generalmente molto lungo, avendo lunghezza confrontabile con la distanza focale equivalente definita dal primario.

Fig.7: Telescopio Newtoniano

Cassegrain

Il telescopio Cassegrain è realizzato con uno specchio primario parabolico concavo e un iperboloide convesso come secondario. Lo specchio secondario intercetta i fasci  convergenti sul fuoco primario prima che lo raggiungano. Il fuoco primario coincide con uno dei due fuochi geometrici dell’iperboloide, mentre l’altro è posto dietro il primario, che è forato, e costituisce il fuoco del telescopio. Questo telescopio ha il vantaggio di essere molto più corto della focale equivalente. A causa della difficoltà di lavorazione del secondario, i telescopi Cassegrain hanno avuto un’evoluzione più lenta, anche se oggi sono diffusissimi tra gli astrofili anche per la loro contemporanea potenza (lunghezza focale) e portabilità.

Fig.8: Telescopio Cassegrain

Un’importante variazione del Cassegrain classico è il telescopio Ritchey-Chrétien, che impiega sempre due specchi, uno primario ed uno secondario ma questa volta entrambi iperboloidi. Ciò permette di diminuire notevolmente gli effetti dell'aberrazione per gli oggetti fuori asse. Ha come unica aberrazione l’astigmatismo ma nessuna aberrazione sferica e coma aumentando quindi il campo corretto. Anche l’astigmatismo può essere annullato inserendo un terzo elemento ottico curvo. Quando questo elemento è uno specchio, il risultato è un telescopio anastigmatico a tre specchi.

Fig.9: Il Very Large Telescope VLT (Cile)

I più grandi telescopi del mondo adottano armai da tempo questa configurazione. Fra i più importanti ricordiamo il Very Large Telescope dell’ESO (VLT) in Cile con i suoi 4 telescopi da 8.2 m di diametro e il Gran Telescopio Canarias al Roque de los Muchachos Observatory (Spagna) con un diametro di 10.4 m.

Esiste anche un’altra variante del telescopio Cassegrain: la configurazione Nasmyth. In questo caso alla classica configurazione Cassegrain si aggiunge un terzo specchio (piano), situato lungo l'asse di declinazione strumentale che porta fuori il fuoco all'interno dell'asse. L'osservazione della sorgente avviene così all'estremità dell'asse di declinazione ove sono collocati gli strumenti di osservazione. In un telescopio Nasmyth non è dunque necessaria la foratura dello specchio primario.

 

Gregoriani

Il telescopio gregoriano, descritto dall'astronomo e matematico scozzese James Gregory nel suo libro del 1663 Optica Promota, utilizza due specchi concavi, lo specchio primario, un paraboloide concavo, raccoglie la luce e la fa convergere verso un fuoco posto davanti allo specchio secondario, un ellissoide concavo, che riflette l'immagine all'indietro attraverso un foro nello specchio primario. Questo produce un'immagine non capovolta, utile anche per le osservazioni terrestri. Alcuni piccoli cannocchiali sono ancora costruiti in questo modo. Esistono diversi grandi telescopi moderni che utilizzano una configurazione gregoriana come il Large Binocular Telescope in Arizona o i telescopi Magellano, nell'Osservatorio di Las Campanas, in Cile.

Fig.10: Telescopio Gregoriano

Catadiottrici

Il telescopio catadiottrico è un tipo di telescopio che si basa su un sistema ottico costituito da specchi e lenti. In tale telescopio, che può quindi essere definito come un ibrido tra un telescopio rifrattore, che si avvale di lenti, e un telescopio riflettore, basato su specchi, vengono sfruttati entrambi i principi della rifrazione e della riflessione della luce. Un esempio di telescopio catadiottrico è il telescopio Schmidt (1930) che è costituito da uno specchio primario concavo sferico, un piano focale ricurvo ed una lente correttrice che riduce l'aberrazione sferica, posta nel centro di curvatura del primario. È una camera fotografica studiata per fornire fotografie ad ampio campo. È detta appunto camera Schmidt proprio perché si tratta di uno strumento principalmente rivolto all'astrofotografia.

Fig.11: Camera Schmidt

Differenze tra lenti e specchi

Abbiamo visto come gli specchi presentano alcuni vantaggi rispetto all'utilizzo delle lenti. Queste ultime sono realizzate in vetro di altissima qualità come il Crown, con un alto indice di rifrazione e una bassa dispersione, di solito combinate con altre lenti in vetro Flint, anch’esso con un indice di rifrazione particolarmente alto (1,6-1,89) e dispersione attorno a 0,017. Queste caratteristiche lo rendono adatto per vetri d'ottica quali prismi e lenti acromatiche anche se permangono problemi di aberrazione cromatica e stabilità strutturale su lenti di grandi dimensioni.

Per gli specchi invece non esiste l'aberrazione cromatica, non vi è alcun assorbimento della luce come nel vetro (c’è una minima percentuale di perdita causata dal materiale riflettente), inoltre avendo una singola superficie sono più facili da costruire e da pulire ed infine è più facile mantenerli in posizione. È comunque ovvio che necessitano di una curvatura come le lenti ed inoltre sono più soggetti a degradazione della superficie riflettente col passare degli anni. La qualità della lavorazione ottica degli specchi è determinante per le prestazioni del telescopio: idealmente tutti i fotoni riflessi dallo specchio vanno a convergere in un unico punto, il fuoco, ma imperfezioni nella lavorazione provocano una sfocatura dell'immagine. La lavorazione deve essere fatta in modo tale che le imperfezioni più grandi presenti sullo specchio siano una piccola frazione della lunghezza d'onda della luce ricevuta (1/100λ), dell’ordine quindi dei nanometri.

Il vetro, utilizzato per la fabbricazione degli specchi per la prima metà del XX sec., risente molto delle variazioni di temperatura. Per questo sono stati realizzati specchi con altri materiali che vanno dal borosilicato (il comune pyrex), o l’Ule (Ultra low expansion), il Quarzo fuso, il CerVit (Ceramica vetrificata) e lo Zerodur (con cui sono stati costruiti i 4 specchi da 8.2 m di diametro ciascuno del VLT, il Very Large Telescope dell'ESO) che hanno coefficienti di dilatazione termica praticamente nulli. In molti casi, gli specchi sono costruiti con una struttura a nido d’ape che garantisce insieme leggerezza e rigidità.

Anche la copertura della superficie con il corretto materiale riflettente è di fondamentale importanza: i metalli riflettenti solitamente usati per gli specchi astronomici sono l’Alluminio (Al), l’Argento (Ag) e l’Oro (Au). Le performance dell’alluminio e il suo costo relativo hanno reso questo materiale il più diffuso (processo di alluminatura) anche se studi recenti hanno messo in evidenza una nuova tecnica per realizzare rivestimenti protettivi su film riflettenti a base di argento (silver coating) per specchi astronomici di grandi dimensioni. Tale tecnica è chiamata atomic layer deposition e consiste nel realizzare un sottilissimo strato di materiale depositandone uno strato molecolare alla volta, garantendo così un’alta uniformità dello spessore sulla superficie. Il tutto ha lo scopo di aumentare il tempo osservativo disponibile, limitando le operazioni di manutenzione che con l’argento devono essere più frequenti a causa della facilità con cui questo elemento ossida in condizioni atmosferiche aggressive. Le caratteristiche di riflessione dell’Oro invece sono adeguate solo in caso di osservazione nell’infrarosso in quanto il suo potere di riflessione diminuisce drasticamente verso la parte Blu dello spettro ma aumenta ben oltre le capacità di alluminio e argento oltre i 700nm.

Montature

Fig.12: Montatura equatoriale (a sinistra) e azimutale (a destra)

I telescopi necessitano di supporti stabili che consentano un puntamento fluido e preciso dell’oggetto in esame oltreché del suo inseguimento sulla volta celeste. Per i telescopi terrestri esistono due tipi principali di montature: equatoriale e azimutale. Nella montatura equatoriale uno degli assi è diretto verso il Polo Nord Celeste (o Polo Sud). Questo asse è chiamato asse polare o asse orario (coordinata ascensione retta). L'altro asse, l'asse di declinazione, è perpendicolare. Poiché l'asse orario è parallelo all'asse di rotazione terrestre la rotazione apparente del cielo può essere compensata ruotando a velocità costante l'asse ottico attorno l'asse orario. Nella montatura azimutale un asse è verticale e l'altro è orizzontale. È una montatura più facile da costruire della montatura equatoriale ed è più stabile per i grandi telescopi, che devono supportare pesi enormi. In questo caso però, per seguire la rotazione del cielo, il telescopio deve essere ruotato in entrambi gli assi e con velocità variabili. In più se un oggetto è vicino allo zenit il suo azimut varierà molto velocemente e la sua osservazione sarà molto difficoltosa. I più grandi telescopi sono stati costruiti su montature equatoriali finché, con lo sviluppo dei computer, è stato possibile realizzare con essi la più complessa guida azimutale. Molti dei telescopi più recenti sono posti infatti su montature azimutali. D'altra parte, è chiaro che con questa montatura il campo mirato ruota apparentemente attorno al polo celeste col passare del tempo e quindi la strumentazione di acquisizione (camera CCD, spettroscopio ecc.) viene ruotata per compensare questo effetto tramite un sistema chiamato derotatore di campo.

 

Ottiche adattive

Nonostante le “finestre” di visibilità nello spettro elettromagnetico, anche le immagini prodotte dai telescopi ottici a terra, sono affette da distorsioni a causa del fatto che la luce, attraversando vari strati d'aria, è fortemente soggetta a fenomeni di seeing, che si manifestano facendo apparire la sorgente non più puntiforme ma estesa in un disco di luminosità variabile (disco di Airy). Teoricamente uno strumento ideale è in grado di raccogliere circa l’84% della radiazione incidente contenuta in questo disco. Il raggio del disco di Airy ci permette di calcolare la risoluzione angolare massima dello strumento θmax:

θmax = 1.22 λ/D

Dove D è il diametro dello strumento e λ la lunghezza d'onda della luce incidente. La turbolenza atmosferica devia quindi la radiazione luminosa e alcuni fasci arrivano prima di altri sul sensore causando uno “scintillio” della sorgente. Difficilmente, a causa di questo continuo spostamento di masse d’aria, la precisione di un telescopio a terra scende sotto 1” d’arco, contro gli 0.05” dell’Hubble Space Telescope.

Fig. 13: Il pianeta Nettuno osservato con il VLT senza l’impiego di ottiche adattive (a sinistra); con l’Hubble Space Telescope (al centro); con un sistema di ottiche adattive operativo sullo strumento MUSE/GALACSY del VLT, a destra. (Crediti: ESO / P.Weilbacher, AIP / NASA / ESA / M.H.Wong & J.Tollefson UC Berkeley)

Si può attenuare questo fenomeno ponendo il telescopio ad elevate altitudini e in aree del pianeta secche e desertiche.

La soluzione definitiva è però l’uso delle ottiche adattive. Il principio di funzionamento si basa sull’utilizzo di un raggio laser per generare una stella guida artificiale (laser guide star, LGS). Normalmente si utilizza la luce laser a 589nm per eccitare in modo risonante gli atomi di sodio più in alto nella mesosfera e nella termosfera attorno ai 70km di quota, che poi sembrano "brillare". L'LGS può quindi essere utilizzata come riferimento del fronte d'onda allo stesso modo di una stella guida naturale, che però non è sempre presente nel campo di osservazione. L’immagine deformata dall’atmosfera dell’LGS viene analizzata da un sensore di fronte d’onda in un tempo scala dell’ordine dei millisecondi e il computer calcola la forma ottimale dello specchio per correggere le distorsioni, rimodellando la superficie dello specchio deformabile tramite migliaia di attuatori meccanici.

 

Nel prossimo articolo... i radiotelescopi!

 

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